Oggi si celebra la giornata internazionale contro l’omobitransfobia.
Una giornata scelta per ricordarci che le attitudini personali e l’orientamento sessuale non possono costituire un motivo per aggredire, schernire o negare il rispetto dovuto alla dignità umana.
In tempi non troppo lontani dai nostri, i comportamenti omosessuali erano perseguiti penalmente e le diagnosi psichiatriche parlavano di disturbi emotivi gravi e pervasivi.
Stiamo parlando degli anni ’50.
Una famosa psicologa Evelyn Hooker decise di mostrare il contrario e di porre fine a questa diversità progettando test psicologici che rilevassero la stabilità psichiche ed emotive selezionando 60 uomini, 30 eterosessuali e 30 omosessuali.
Alla fine dell’analisi, giungono indipendentemente alla medesima conclusione: non vi è alcuna differenza psicologica misurabile tra i membri dei due gruppi; l’omosessualità come disturbo clinico non esiste, le sue forme sono varie come quelle dell’eterosessualità.
E dopo svariati processi, 25 anni fa l’OMS prese una decisione che cambiò il modo di vedere di tutti il mondo
Era il 17 maggio 1990
l’OMS cancellò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
Tutti nascono liberi e uguali in termini di dignità e diritti.
Tutt’ora in 69 paesi le relazioni tra persone dello stesso sesso vengono configurate come reato e in 11 di essi l’omosessualità è ancora passibile di pena capitale.
È su temi come questo, strettamente legati ai diritti civili dell’individuo, che si misura la democrazia di un Paese, la sua civiltà e la capacità delle sue Istituzioni di garantire la piena parità e dignità delle persone.
Reagire significa condannare aggressioni e intolleranza, smantellare pregiudizi, ma anche farsi parte attiva di un salto culturale per rendere la nostra società più coesa, inclusiva, solidale.